Santa Maria – 15 agosto 2007 - (di A.G.)

Lettera Ringraziamento Fam. Lagioia

            Oggi la festa del 15 agosto in onore di Maria è una tra le più significative dell’anno, in particolare per i cattolici ma anche per gli altri per i quali rappresenta il giorno clou delle ferie di agosto, secondo la denominazione di origine latina che poi è diventata diffusamente ferragosto e quindi, più pomposamente Ferragosto.

            Nella cultura popolare nostrana la giornata segnava la fine di un anno agricolo e creava le premesse per quello successivo.

            Si era completata la pisatura, quindi il grano e la paglia erano assicurati; il primo per la famiglia, la seconda per gli animali ma anche per la casa allorchè si usava la paglia dell’orzo per rifare ex-novo i “sacconi” (leggi materassi del poi); la paglia d’orzo (paglia urgina) era più adatta a formare il nuovo giaciglio forse perché lo stelo dell’orzo è più robusto e quindi poteva reggere il peso dei dormienti leggermente più a lungo prima di frantumarsi del tutto per cui, chi non usava ancora le reti metalliche e stava direttamente sulle tavole, tempo pochi mesi, e di paglia non se ne parlava più, questa si riduceva in polvere che, quando veniva a contatto con la pelle creava un prurito fastidiosissimo: simile alla “friulite”.

            Mentre si attendeva la vendemmia, rigorosamente a settembre, per la raccolta esclusiva di uve da primitivo ad alberello, si poteva approfittare per portare anche gli animali al bagno. Lo stabilimento balneare più accogliente per tutti era “basc’a li wattinieri” ( da convento-lavanderia composto di otto monaci battendieri per la pulizia della propria biancheria ma anche di quella dei monasteri della diocesi che portavano la propria coi carri in quanto non disponevano dei locali adatti (gualchiera) ma soprattutto non disponevano di una sorgente come il Cervaro che con la gypsophila strutium che vi cresceva sul fondo faceva sì che la biancheria venisse pulita più e meglio che quella d’oggi dì coi detersivi tanto decantati. Orazio, Virgilio e tanti altri poeti d’epoca latina hanno cantato nei loro versi la purezza e la altrettanto saponifera bontà del fiume Galeso, stretto cugino del Cervaro, fino a renderlo, almeno nei versi, più famoso dello stesso Tevere.

            Quindi, il Battendiero con le sue acque dolci e fresche, con la famosa vasca “personalizzata” che tanto refrigerio ha offerto ai bagnanti del circondario (Monteiasi, Grottaglie, San Marzano, …) ma anche lo stesso Mar Piccolo che grazie alla presenza dei suoi citri (una volta erano 29) diventava una vasca da pisci-mitili-ostre-coltura abbastanza originale perché conteneva una buona percentuale d’acqua dolce tanto gradita dagli allevatori ma soprattutto dagli animali allevati.

            Santa Maria, quindi come passaggio cruciale nella vita delle famiglie, giornata carica di tanti processi lavorativi da dimenticare per la fatica del loro peso gravoso ma anche piena di speranze per l’avvenire.

             La cultura religiosa popolare assegnava alla festa di Santa Maria un passaggio importante anche nella cultura della fede. Si radunavano davanti ad alcune case del paese, lì dove c’era qualche madre di famiglia più esperta anche nei canoni religiosi, e si pregava in maniera insolita: si fecevano cento segni di croce intervallati da cento Ave Maria; alla fine si aggiungevano le litanie come nel Rosario. Quando giungeva il 15 agosto, noi ragazzi eravamo presi dall’incanto di questa armonia di suoni e di voci; ogni donna si portava la propria sedia da casa e (nel caso di casa mia ) si disponevano di fronte all’ingresso occupando anche gran parte del piano stradale: il traffico non era quello di oggi, sia per frequenza che per qualità.

            Ogni tanto si avvertiva lo stridere del ferro delle ruote di un carro particolare, detto quattroruote dal numero appunto delle ruote; era in uso presso le masserie e/o le grosse aziende agricole perché poteva contenere un carico maggiore di qualunque materiale: reti piene di paglia, sacchi di grano, botti poste in verticale per il trasporto dell’uva (ne portavano tre grosse e una piccola in coda), botti chiuse disposte in senso orizzontale per il trasporto del mosto o del vino, altro. Il passaggio del “quattroruote” dava il senso di una mestizia unica: lo stridere delle ruote sul selciato allontanava il pensiero dal divertimento, dai bagni, dal raccolto, dai frutti copiosi del periodo, allontanava il pensiero da tutto ciò che rappresentava il buono e il bello e lo accostava alla tristezza, alla mestizia, al passare inconsapevole del tempo, alla fragilità della condizione umana e al suo trascinarsi per sentieri sconosciuti, inesplorati, imprevedibili. Il carro portava solo masserizie, qualche mezzo tavolo sgangherato, qualche sedia col fondo di paglia consunto dall’uso, qualche lenzuolo che alla bisogna, annodato ai quattro capi sulla sommità, faceva da contenitore degli abiti confezionati con stoffa lavorata al telaio, dei capi di biancheria, di tante piccole altre cose dall’odore forte degli ovili, delle cantine, dei granai, rese profumate dal sudore, dalla fatica, dal sacrificio.

            Il carro, per ragioni di spazio, non poteva contenere anche le persone; queste, il padre avanti di fianco al cavallo ricevuto (col carro) in prestito dal padrone, dietro le donne più giovani e sopra qualche anziano accoccolato alla meglio; dietro qualche piccolo trattenuto dalla madre per le braccia; i visi impolverati, lo sguardo assente; non guardavano verso le persone che erano davanti alle case, guardavano avanti, il volto scarno, verso il loro infinito.

            Era usanza e costume riconosciuto perfino dai codici, che il giorno di Santa Maria si considerasse il primo di uno o più anni che consentivano di legare un rapporto di lavoro presso una nuova masseria, per aspirazione propria o, il più delle volte, per volontà del padrone. Quindi il giorno precedente rappresentava il giorno di fine del contratto. Il contratto non prevedeva somme di denaro ma beni di consumo: cereali, legumi, formaggio, il diritto di allevare in proprio qualche animale assieme a quelli del gregge del padrone. Anche in paese era importante questa scadenza; era riferita alle case date in fitto; addirittura il canone di fitto era previsto per annualità con scomposizione che non era certamente mensile; altrettanto valeva per le terre in fitto. In Monteiasi c’è a tutt’oggi una famiglia i cui antenati hanno lasciato la masseria tenuta in precedenza in fitto e sono venuti a stare presso un’altra nelle vicinanze del paese.

            Insomma, il 15 agosto, Santa Maria, a voler riassumere era giornata di festa per pochissimi, di preghiera per tanti, di dolore e di sofferenza per tantissimi.

            Il detto popolare ricorrente, era: “scasa, c’arrivatu agostu”; “scasa ch’è Santa Maria”; dove “scasa” sta chiaramente per “lascia, lasciare la casa” per andare verso un’altra casa, un’altra dimora.

            E’ quanto è successo a Mimmo Lagioia, nel giorno di Santa Maria. “Ha scasatu!”

            Lui, però, l’ha fatto sapendo scientemente e consapevolmente della Casa presso la quale sarebbe andato; si è preparato, come pochi, ad abbracciare il sentiero dell’Infinito sapendo perfettamente che lo attendeva il Padre col quale ha intrattenuto rapporto”confidenziale” occupandosi del campo terreno affidato alla cura degli uomini di buona volontà; è partito anche lui con un quattroruote ma il suo peso è stato sorretto idealmente da migliaia di mani che l’avrebbero trattenuto volentieri per restare più a lungo assieme, anzitutto ai suoi familiari; purtroppo il “contratto” era scaduto; è una forma diversa: non è firmato, non è sulla parola; è totalmente imprevedibile anche se previsto. L’unica garanzia è che alla scadenza offre la luce, non quella scarsa delle luminarie ma quella immensa, infinita, inesauribile, eterna della Casa del Padre; il suo contratto non avrà più scadenze. Tocca a noi aspettare con ansia e trepidazione la fine del nostro; c’è una Santa Maria anche per noi, magari di un giorno qualunque, senza mani che ci trattengono, una giornata grigia e …forse tempestosa.  (Aldo Galeano)