Nella sera di Domenica 13 maggio 2007 è tornato nella casa del Signore il Dott. Andrea Torrente, cinquant'anni  Medico Condotto nella nostra Comunità, uomo di grandi qualità umane e professionali.

  Andrea    Torrente

 Il passaggio di un patriarca 

        Cominciò la sua vita di studi universitari con un patto sottoscritto con se stesso prima che col padre. Questi aveva un fondo agricolo in agro di Villa Castelli; per dare la possibilità al figlio di poter studiare, non riuscendo con la sola paga di ferroviere, vendette il terreno e depositò i soldi su un libretto di risparmio al quale il giovane Andrea avrebbe attinto per mantenersi agli studi presso l’Università di Napoli.

            In questa e da questa ne uscì preparato come usava allora la scuola di medicina, con disciplina ferrea e impegno spinto allo spasimo; divertimento ridotto a zero se non l’avesse accompagnato allora e per tutta la vita la componente goliardica che gli ha permesso in numerose circostanze di rallegrarsi e di sollecitare gli altri all’umorismo schietto e piacevole di chi vede la vita in un’unica direzione: quella di dare il massimo di se stessi alla professione, alla famiglia, a tutte le persone con cui entrava in contatto senza distinzione alcuna.

            La laurea in medicina lo vide subito protagonista nella difficile materia di Esculapio. I tempi erano bui e gravidi di sventure: la guerra, la casa paterna ridotta in macerie dai bombardamenti con la perdita sotto gli stessi della mamma e di una delle sorelle, la “condotta” conseguita a Monteiasi appunto come medico condotto per seguire i casi di bisogno dei poveri messi in elenco dal Comune, la responsabilità della sanità locale come Ufficiale Sanitario come si diceva allora prima dell’ingresso dell 833 con la riforma e che riguardava tutti i campi dell’igiene e della sanità pubblica: dai trattamenti contro il tracoma e altre malattie infettive (tubercolosi, tifo, poliomielite, ecc.) fino al controllo delle carni nelle poche e sguarnite macellerie dell’epoca.

            Il “Campo S”, il campo di prigionia che accoglieva nella zona di Sant’Andrea i prigionieri della X^ MAS, ancora nelle mani degli Alleati nonostante fossimo nel ’46, il Campo S vide Andrea Torrente protagonista nella verifica dell’igiene nel campo – vedi pediculosi e tanto altro – nonché nell’assistenza ai casi di malattia più urgenti.

            Ormai era stabilmente in Monteiasi, con sistemazione provvisoria “a pensione” presso la famiglia di Guglielmo Matichecchia in via Mazzini.

            Siccome gli impegni di lavoro non gli permettevano di allontanarsi di un momento dal territorio comunale (erano lontani anni-luce i tempi della guardia medica), allora la ragazza della sua vita, la tenace inseparabile granitica Adriana, lo raggiungeva a Monteiasi, accompagnata dai familiari, a mezzo dei camion militari che effettuavano i primi collegamenti organizzati tra i paesi.

            La sistemazione, poi, in via Roma, al primo piano, da ‘Mmaculata di Anna Grazia, per noi tutti nunna ‘Mmaculata, lo vide accasato dopo il matrimonio e lì domiciliato per 13 anni, fin quando cioè non ottenne l’appartamento presso le cosiddette Case Popolari tra via della Rinascita e via Trieste.

            Nei primi anni ’60 si trasferì in via Roma nella casa di sua proprietà, dopo aver comprato la fascia di terreno che andava da via Roma a via Marconi e dopo essersi ritagliata la parte poi edificata su idea e progetto del cognato Aldo Gnelli, uomo di grande spirito e di alto ingegno, scomparso, ahimè, molto prematuramente.

            Il tempo e la necessità lo videro crescere man mano nella passione automobilistica: la Topolino d’occasione (era stata di don Peppo Strusi), la grande americana modello Kaiser comprata dalle mani di un ufficiale americano, la 600 Fiat, la Flavia della Lancia, la 500 per le visite, la 2600 dell’Alfa, la Mini-cooper, … fino alle più recenti.

            La passione sua più grande è sempre stata la medicina, vissuta in ogni ora del giorno, come medico e come studioso  di fronte ai casi più complicati. Le notti senza chiamate erano rarissime, sempre interrotte per i casi più disparati, una vera prova di resistenza per poi affrontare tutti gli impegni della giornata: dalle visite ai casi più urgenti della prima mattina al lungo e snervante ambulatorio, alle visite domiciliari che in caso di epidemie si protraevano ben oltre le 14,00 e riprendevano nelle ore pomeridiano-serali.

            Gli capitò anche di dover ricevere in casa un alto funzionario dell’ONU il quale lo pregava e supplicava di accettare l’incarico di ricercatore e di medico presso le sedi internazionali  sanitarie facenti parte di quell’organismo ma dopo profonda riflessione rinunciò agli agi, alla fama, alle soddisfazioni che quell’incarico gli avrebbe di certo assicurato per restare nel paesello che in più di un’occasione gli si è dimostrato anche ingrato.

            Uno dei tanti episodi passati alla storia fu quello dovuto al fatto che l’INAM dell’epoca si vedeva arrivare delle notule con la segnalazione di visite effettuate in ore notturne, la qual cosa impensierì i solerti funzionari dell’ente che si preoccuparono di controllare di persona. Era seriamente ammalata la moglie di R. L. e quindi erano necessarie terapie che richiedevano del tempo, tipo fleboclisi, per cui diventava inevitabile recarsi presso il domicilio della paziente alle 4,00 del mattino per poter affrontare con comodo, dopo, gli impegni della giornata. Quale non fu la sua grande meraviglia, una mattina, nel vedersi ricevuto dai funzionari che stazionavano davanti alla casa dell’ammalata; rimasero contriti e di ghiaccio, gli chiesero scusa e ripartirono con la coda fra le gambe con una buona dose di invettive dei familiari perché erano state messe in dubbio le caparbie capacità del loro medico di famiglia.

            Nella sua vita, costellata di grandissime soddisfazioni sul piano umano e professionale, non sono mancati i crucci e le ingratitudini come accennavo sopra.

            Il più persistente dei crucci proveniva dal rapporto con alcuni  amministratori comunali che allora come oggi si ritengono padroni del vivere comune piuttosto che delegati alla amministrazione della cosa pubblica. La visione di parte, di tanti fra essi, faceva sì che Andrea Torrente venisse visto come un nemico piuttosto che come persona integerrima e sempre al di sopra delle “parrocchie”. I  ricorsi alla Prefettura contro i provvedimenti amministrativi divennero così frequenti che “fummo” costretti a comprare una Underwood doppio carrello per l’estensione dattilografica degli stessi  e al contempo per contenere aperto il foglio della carta bollata; per inciso la sua grafia era calligraficamente apprezzabile ma proprio per l’abbondanza dei ghirigori alquanto indecifrabile.

            Per manifestare pienamente l’attaccamento alla delega ricevuta, alcuni amministratori, uno in particolare – M. U. – controllava con rigore vessatorio ( aiutato in ciò dai primi modelli della Lanco che all’epoca assicurava a tutti senza grossi sacrifici la possibilità di segnare il tempo ) l’ora di arrivo del dr Andrea Torrente all’ambulatorio comunale, allora posto nei locali Carillo, sede successiva dell’Ufficio Postale e attualmente del magazzino di Valerio Galeone.

            Il dissidio tra la persona Torrente e i politici e i politicanti dell’epoca si acuiva con sbalzi estremi al momento delle votazioni. Erano queste le occasioni in cui si tentava di far prevalere le proprie ragioni circa la incapacità patologica di alcuni elettori di esprimere personalmente il proprio voto; per cui gli agit-prop, i mestieranti della politica, cercavano di ottenere il certificato medico del presunto incapace di esprimere personalmente la propria scelta elettorale al fine di assicurarsi il voto del medesimo con assoluta garanzia. A volte i rappresentanti dei partiti maggiori (leggi DC e PCI ) arrivavano spontaneamente al compromesso risolvendo il tutto col salomonico patteggiamento del fifty-fifty. C’erano i casi dichiaratamente e ufficialmente proclamati ma c’erano anche gli incerti, i volubili che cambiavano idea a seconda di chi si presentasse come elettore accompagnatore; c’erano litigi atroci tra familiari divisi tra un colore e l’altro e quale dei due dovesse prevalere per l’accompagnamento in cabina. Non erano rare le occasioni in cui lo stesso elettore veniva richiesto di essere accompagnato da rappresentanti di entrambe le compagini elettorali per cui l’Ufficiale Sanitario si trovava, se non attento e scrupoloso, a rilasciare due certificati per la stessa persona.

            Clamoroso fu il caso del papà del sindaco Carillo, il quale era claudicante e si accompagnava con una gruccia; per questo motivo accampava il diritto di essere accompagnato in cabina e quindi di aver bisogno del certificato medico, accompagnato in ciò dal parere del presidente di sezione che proveniva dal Tribunale di Taranto -dr Nicola Spagna- , ovviamente da quello del figlio Pietro e non ultimo da quello suo stesso. La sede elettorale cominciò ad animarsi, il pubblico attento a propendere per l’una o per l’altra parte, fin tanto che la sede elettorale si tramutò in un’aula di giustizia con tanto di riferimenti ai regolamenti e con il prevalere altalenante dei contendenti, uno dei quali, ovviamente era il dr Torrente; questi garantiva per tutti che l’elettore poteva esprimere da solo la propria scelta elettorale dopo essere stato, semmai, aiutato nell’ingresso nella cabina. Il momento clou fu raggiunto quando l’accertamento tendeva a stabilire la presenza di eventuale deficit visivo col passaggio della mano avanti agli occhi dell’elettore il quale confuse il gesto del dottore per una minaccia e allora la gruccia rapidamente assunse la funzione di bastone che nel roteare, per fortuna, non produsse in nessuno effetti irreversibili.

            E’ stato questo uno dei casi in cui il limite tra illegalità e legalità era veramente ristretto. In discussione, però, non era tanto il caso umano verso il quale Andrea Torrente per dedizione, per spirito innato, per amore della professione non ha mai distinto tra l’umano e il professionale; è stato a tutti gli effetti uno degli ultimi epigoni della taumaturgia medica.

            Ciò che ha sempre inasprito l’animo di Andrea Torrente è stato il volere di altri di prevaricarlo, di angariarlo, di opprimere o semplicemnte sfiorare la proprià libertà di persona prima che di cittadino e di medico.

            E’ sempre andato orgoglioso della parentela con un cugino omonimo, insigne rappresentante del Consiglio di Stato e autore di saggi giuresprudenziali che hanno formato alla giustizia intere generazioni.

            Fu proprio questa sua peculiarità che lo vide con me, di molto più giovane, ma già avvezzo alla militanza politica, che lo vide protagonista di una adesione politica partitica (“ DC” ) proprio per scongiurare non tanto per sé quanto per tanta altra gente, il rischio di essere oggetto di abusi e sopraffazioni. Distinguendosi in ciò anche da molti coiscritti del “ns” partito che, in egual maniera e misura, tendevano a primeggiare senza mai distinguere tra il soggettivo e l’oggettivo. Il caso più clamoroso venne fuori quando con le amministrative del novembre ’66, vincitrice la coalizione del centro-sinistra nella quale militavamo, si voleva ad ogni costo che uno dei dipendenti comunali (L. D. ) assunti con delibera trimestrale, venisse “lasciato a casa” per il solo torto di non aver votato a nostro favore.

            Il parere del Partito e dell’Amministrazione era univoco, quello di Andrea Torrente e del sottoscritto, sulla medesima lunghezza d’onda, furono soccombenti ma non vinti; il 19 marzo 1967 entrambi ci recammo all’ufficio postale di Taranto-Ferrovia per rassegnare con un telegramma le dimissioni dal partito (nota: allora l’ufficio postale locale era chiuso perché festa nazionale di precetto).

            Il dipendente comunale, con sentenza del Consiglio di Stato, fu riassunto e rimunerato nella primavera del ’73.

            La larghezza di vedute, la serenità d’animo, la lotta di Andrea Torrente contro le manipolazioni, contro le cospirazioni di corridoio, contro la politica degli affari, avevano vinto ancora.

            Un uomo, una persona, un modello, nessun dubbio; un laico cristiano della scuola di Gentile ma anche e soprattutto un convinto difensore del connubio indivisibile tra scienza e fede. Ha sempre rispettato le scelte degli altri, quando ritenute erronee, assegnando alle medesime il giudizio divino giammai come desiderio di vendetta bensì come connotazione della caducità umana di fronte all’esperienza sovrannaturale ed eterna.

            Dal gennaio ’74 al 19 marzo ’75 mise a disposizione lo scantinato della sua abitazione perché il Gruppo Anonimo ’74 avesse una sede sia pure precaria.. Per chi l’ha vissuto quella è stata e resterà la migliore delle sedi grazie alla magnanimità e alla lungimiranza di una persona che è vissuta con gli altri ma distinto dagli altri per intelligenza, levatura morale, profondissima preparazione e scrupolo professionali, ricchezza interiore fuori del comune, amante della libertà come espressione filosofica della vita: un vero patriarca.  ( Aldo Galeano)

Monteiasi, 13 maggio 2007